Può la moda diventare un fattore di cambiamento e sostenibilità? Ne sono convinti A.L.T.A. e AsVeSS che, con il patrocinio del Comune di San Martino di Lupari, hanno organizzato l’evento Moda e sostenibilità: una trasformazione necessaria.
L’industria della moda non solo è fra le più inquinanti, ma – come ricorda Matteo Mascia, coordinatore di AsVeSS – «c’è anche un problema di lavoro dignitoso e di lotta alla povertà, ma anche di parità di genere, perché sono soprattutto le donne a essere impegnate nella produzione».
Dagli anni ’70 le risorse consumate dall’industria sono più che raddoppiate, senza che nello stesso periodo la popolazione crescesse con la stessa rapidità. La motivazione è semplice, e per capirlo basta aprire un armadio: acquistiamo sempre più capi che, però, indossiamo meno a lungo.
«La dimensione della sfida ambientale è enorme. – chiarisce l’esperto di certificazione ambientale e sociale, Paolo Foglia – Fino al 2000 il materiale più importante è stato il cotone; poi, negli ultimi venticinque anni, la quantità di cotone è rimasta costante, ma a cambiare è stata la percentuale di poliestere, oggi maggioritaria».
Il problema è duplice: oltre a impiegare fibre tessili sintetiche, tendiamo a preferire quelle vergini, perché riciclare i tessuti non è sempre facile, soprattutto se si tratta di tessuti misti. È il caso, ad esempio, degli indumenti che contengono elastan, una fibra poliuretanica usata per conferire elasticità ai capi.

«Quando parliamo di prodotti tessili – continua Foglia – parliamo di qualcosa che deve aiutarci a esprimere noi stessi e ad avere un contenuto di bellezza. Tutto questo, però, ha un costo e comporta una serie di ricadute problematiche dal punto di vista ambientale ma anche sociale, perché la confezione è la fase più costosa della produzione, oltre a essere quella in cui è impiegato il maggior numero di addetti».
Anche per questo le aziende tessili hanno progressivamente delocalizzato la produzione dei capi, il confezionamento, in Paesi dove il costo della manodopera è più basso e dove, troppo spesso, non si va troppo per il sottile quando si tratta di diritti dei lavoratori.
«Il mondo della moda è un mondo grande e piccolo allo stesso tempo – chiosa Raffaele Grazia, amministratore delegato dell’azienda tessile OTS – esistono i voli pindarici degli stilisti, che non si pongono alcun limite sui materiali e sulle esigenze produttive con cui i tecnici sono chiamati a rapportarsi».
OTS, negli anni, ha sviluppato tutte le linee di condotta necessarie per rendere il più sostenibile possibile la sua produzione, al punto non solo da ottenere numerose certificazioni, ma anche da diventare un riferimento all’interno del gruppo LVMH e capofila di una rete di fornitori che progressivamente ha aiutato a compiere lo stesso percorso.
«Ma noi consumatori – ha chiesto Grazia al pubblico – quanto siamo disposti a pagare per poter contribuire a un mondo migliore da un punto di vista sociale, ambientale ed ecologico?».
Una filiera sostenibile è, oggi, una filiera costosa: care sono le fibre riciclate, cari sono anche i tessuti bio – anche se è improprio definire biologico ciò che non è alimentare – e cara è soprattutto la lavorazione.
Il potere del consumatore è, anche in questo senso, orientare le scelte dei produttori verso una filiera meno veloce – le catene del fast fashion riescono a proporre una collezione ogni ventuno giorni, un ritmo insostenibile – e di qualità più elevata, durevole.
Il fenomeno del vintage e dell’usato, in questo senso, dovrebbe far riflettere: ci può essere una seconda vita per i capi che abbiamo nell’armadio, prima della pattumiera e dell’inceneritore. A condizione, ovviamente, che quei capi possano qualitativamente sopportarla senza deteriorarsi al primo utilizzo.
Il tema della moda sostenibile ci interroga direttamente e ci chiede di coltivare una maggiore sobrietà risignificando il valore che diamo al vestire. Si tratta di una sfida culturale prima ancora che industriale, una grande opportunità per sostenere e promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibile e responsabili.
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