Articolo tratto dal secondo incontro del ciclo Crisi climatica e gestione delle risorse idriche: scenari e proposte di policy per l’asse fluviale del Piave tra Belluno e Treviso organizzato da AsVeSS con l’OES di Treviso e Belluno e Camera di Commercio di Treviso – Belluno|Dolomiti.
Una curiosa iniziativa sta avendo una certa eco sui social network e vede protagonista il comune di Vallelaghi, poco più di 5.200 abitanti in provincia di Trento, che ha installato alcuni piccoli cartelli in corrispondenza di tombini e canalette di scolo con la scritta “Il lago inizia qui”.
Quello di Vallelaghi non è un caso isolato; rappresenta comunque un esempio significativo di consapevolezza rispetto all’impatto dei comportamenti quotidiani sulle acque e della necessità di un impegno condiviso per preservarne la qualità.

Dalla consapevolezza all’azione, però, sempre meno acqua deve passare sotto ai ponti e in questo senso risultano particolarmente utili i cosiddetti contratti di fiume. In Italia se ne contano circa 80, definiti come «strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali unitamente alla salvaguardia dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale».
A illustrarne il funzionamento è Marco Abordi, coordinatore del Contratto di fiume Piave: «per ogni euro investito sui contratti e i conseguenti tavoli di fiume – spiega l’esperto – questi ne hanno poi sviluppati 6 in termini di progetti effettivamente realizzati».
Un effetto leva particolarmente rilevante, soprattutto quando si inserisce all’interno di un quadro coerente con piani e programmi vigenti nel bacino idrografico e con un rinnovato senso di responsabilità collettiva.
«Se fino a 15 anni fa ci si poteva mettere a leggere poesie guardando il fiume – ironizza Abordi, richiamando la semplicità con cui un tempo si avviavano i processi partecipativi – oggi esistono precise linee guida regionali e nazionali a cui conformarsi per mettere a sistema le conoscenze, a partire dalla condivisione di un documento d’intenti fino alla definizione dei piani d’azione».
Il modello dei contratti di fiume, sottolinea, potrebbe essere replicato non solo per la gestione dell’acqua ma anche per altre tematiche che coinvolgono comunità con esigenze omogenee, come quelle delle valli alpine.
Tra le molte sfide che interessano i territori montani vi è anche quella del sistema idrico. Può sembrare paradossale in un’area storicamente ricca d’acqua al punto da ospitare numerosi bacini idroelettrici, ma la gestione degli acquedotti e dei reflui risulta complessa, a causa sia della distribuzione demografica sia della morfologia del territorio.
«Nel bellunese ci sono 593 opere di presa che servono 3.503 chilometri di acquedotti, 229 impianti di filtrazione, 705 serbatoi e 309 impianti di depurazione in oltre 1.500 chilometri di rete fognaria. – elenca Giuseppe Romanello, direttore del Consiglio di bacino Dolomiti Bellunesi – Magari ci fossero i tubi “tutti collegati”! A Belluno ci sono 190 mila residenti, come a Mestre, ma sono leggermente più sparpagliati e questo è una complessità notevolissima».
A confermare la criticità è anche un titolo dell’Amico del Popolo, il giornale più letto della provincia: «Belluno spreca il 70,6% dell’acqua degli acquedotti (solo Latina fa peggio)».
Per affrontare il problema, il Gestore ha avviato decine di interventi, spesso finanziati anche tramite il PNRR: una corsa serrata alle scadenze del Piano accompagnata da un volume di investimenti significativo, che nel solo 2025 raggiungerà circa 50 milioni di euro, coperti in modo equilibrato tra tariffe e contributi esterni.
Proprio sulla tariffa si gioca un equilibrio delicato: come conciliare le esigenze delle famiglie residenti con quelle dei flussi turistici? Da un lato la montagna si sta spopolando; dall’altro la rete deve poter sostenere i picchi stagionali, quando i prelievi aumentano in relazione al numero di persone presenti sul territorio.
È una dinamica complessa in cui le aree montane si trovano a sostenere il peso della gestione di una risorsa essenziale anche per la pianura. L’esempio più immediato è quello dei bacini idroelettrici e della disputa sui canoni idrici, che contrappone non solo le istanze “della montagna” a quelle “della pianura”, ma anche le posizioni della Provincia di Trento e della Regione Friuli Venezia Giulia rispetto a quella di Belluno, che negli ultimi anni ha incassato tali risorse.
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